Ci siamo improvvisati panettieri, pizzaioli, parrucchieri, giardinieri e muratori.
Abbiamo imbiancato, scartavetrato, pulito e buttato.
Abbiamo messo ordine al disordine del nostro quotidiano, cosi frenetico e rumoroso.
Abbiamo creato spazio usando il tempo.
Un tempo inizialmente carico di buoni propositi, progetti, aperisocial, videocall, skype, zoom, whatsapp, instagram, serie tv, film, acquisti vari ed eventuali.
Condivisione costante e irruzione di quell’isolamento forzato.
Affacciati dai nostri balconi abbiamo cantato, applaudito e ballato.
Ci siamo sentiti uniti e forti nel mantra “Andrà tutto bene”!
Il succedersi dei giorni però ha rallentato quella spinta estrovertita; ci ha interrogati, intristiti, annoiati, spaventati, schiacciati, impigriti, annichiliti, traumatizzati.
Un tempo sospeso, un tempo di attesa. Una tensione tra pieno e vuoto: l’alternarsi di speranza e paura, sollievo e sconforto, solitudine e vicinanza, sopravvivenza e morte. Il quotidiano bollettino della protezione civile è diventato il negativo vettore che ha rafforzato e irrigidito regole e divieti.
Lo spazio ci si è ristretto attorno. Noi viaggiatori senza meta e senza confini siamo tornati stanziali.
L’estremistica logica razionalista e cosmopolita è stata sgretolata. Piegato il riduzionismo narcisistico caratterizzante la nostra società consumistica, si apre il tempo della riflessione e dell’essenzialità.
Si svuotano le piazze e ci si ritrova nell’intimità della propria casa.
Ri-pensarsi, ri-progettarsi, ri-trovarsi. Ma come farlo?
Quanto di più significativo nasce dalla profondità e dal silenzio: l’opportunità nasce dall’ascolto di cosa questa esperienza globale abbia rappresentato per noi.
Come e quanto ci ha coinvolto, di cosa ci ha privati e quanto ci ha provato.
Quali emozioni ha smosso, quali paure e quali timori sono tornati a bussare alle nostre porte.
Non lasciarti inascoltato.
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