Sempre più spesso si sente parlare di disturbi alimentari e in aumento sono le percentuali di persone che ne soffrono, cosi come in aumento sono i canali social che ne parlano, facendosi portatori di suggerimenti, canoni estetici, diete e dieting, programmi di allenamento e modelli a cui ispirarsi.
A partire dagli anni ’80 del secolo scorso si è sempre più diffusa l’idea di una bellezza legata ad un corpo in forma e tonico e accanto a questo, un radicale mutamento delle aspettative sociali nei confronti delle donne prima e degli uomini successivamente; un’idea controcorrente se pensiamo che dalla notte dei tempi l’essere umano si sia dovuto adattare e allenare alla carestia e alla fame; come se oggigiorno l’abbondanza e la disponibilità ci rendano più vulnerabili e richiedano disciplina e controllo.
Il cibo al giorno d’oggi fa audience, basti pensare agli innumerevoli programmi e spot televisivi che incontriamo: è un linguaggio universale, facile da capire. E’ ancora possibile assaporare un pasto senza prima averlo postato e condiviso? E questa costante ed esasperata ricerca salutistica è veramente sinonimo di benessere? Instagram, whatsapp, facebook sono forse diventate le nuove tavolate digitali alle quali sedersi per conoscersi e fare conversazione?
Mangiare investe differenti aspetti dell’essere umano: coinvolge infatti il piano biologico, quello psicologico, quello emotivo e infine quello relazionale. Il rito del pasto, nelle diverse culture, riveste un’importante funziona aggregativa, è un momento di incontro e socializzazione, crea gruppo e consolida le relazioni. Un disturbo del comportamento alimentare non può allora essere ridotto ad una mera dieta finita male o ad una semplice definitezza muscolare.
Le ricerche sono concordi nel pensare l’origine dei disturbi alimentari secondo un modello multifattoriale che richiama una visione bio-psico-sociale; un concorso di fattori che si intrecciano nel declinare un unico file rouge: un profondo senso di sofferenza legato ad una non accettazione di sé che comporta, di conseguenza, una difficoltà nel mettersi in relazione con gli altri per timore di non essere accettato, ma giudicato. Il rifiuto del cibo, come nell’anoressia, o il consumo spropositato e incontrollato, quale quello della bulimia o del binge eating, diventano espressione di un dolore profondo. Il corpo diventa uno schermo sul quale proiettare la sofferenza di un’anima ferita, il cibo l’oggetto da cui si dipende, sia negandolo che abusandone, il peso infine diventa l’ossessione su cui investire le proprie energie. La persona sprofonda cosi in un silenzio di solitudine e vergogna.
Accanto a queste forme più diffuse, sempre più spesso si sente parlare di vigoressia e ortoressia: ma di cosa si tratta? Per vigoressia si intende un atteggiamento ossessivo per la forma fisica e per la grandezza e tonicità della massa muscolare mentre l’ortoressia comporta una ricerca maniacale di cibi naturali, biologici e non contaminati. Ma se riflettiamo in termini simbolici, cosa cerca di compensare questo iperinvestimento sul corpo e sulla ricerca di tale perfezione fisica? Di quale armatura di muscoli necessita la persona? E nel secondo caso, da cosa la persona teme di essere contaminata? Si deduce come anche tali forme di malessere interferiscano con le relazioni sociali, limitando frequentazioni e stressando enormemente il proprio corpo e la propria mente.
All’interno dello spazio di analisi è possibile dare voce al proprio disagio e riconoscere i confini della propria sofferenza. Accompagnati da uno psicoterapeuta è possibile leggere e interpretare il proprio mondo emotivo per rintracciare parole ed immagini attraverso le quali presentarsi al mondo e dialogare con esso. L’approccio ecobiopsicologico, attraverso la costante attenzione alla dialettica tra psiche e corpo, consente di andare a riconnettere percezioni, emozioni e pensieri restituendo alla persona una conoscenza di sé come persona integra e unica.
Il cibo torna ad acquisire il suo significato nutritivo e archetipico e la persona si sente finalmente libera di degustarlo e sceglierlo.
Libera di nutrirsi, attraverso tutti i cinque sensi.
Cibo che sazia il corpo, cibo che nutre l’anima.